ricerca Alzheimer

Ricerca Alzheimer, scoperto gene che ne rallenta l’insorgere

Ricerca Alzheimer: è stato individuato un nuovo gene che sembra in grado di rallentare l’insorgere della malattia.
La scoperta è stata annunciata da un gruppo di ricercatori appartenenti alla Australian National University, gli ideatori della scoperta che potrebbe spalancare la strada alla sintetizzazione di nuovi farmaci in grado di ritardare la malattia di Alzheimer fino a diciassette anni.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Molecular Psychiatry, è basato su dati raccolti nel corso di ricerche su una popolazione colombiana: tale popolazione, infatti, è notoriamente portatrice di mutazioni genetiche collegate ad un maggior rischio di sviluppare il morbo di Alzheimer: per citare un esempio, solo nella città di Yaramul è possibile contare circa 5000 persone ad alto rischio di insorgenza Alzheimer, e si prevede che addirittura la metà riceverà una diagnosi già all’età di 45 anni. Se questi dati possono apparire scioccanti, basti pensare che alcuni hanno sviluppato i sintomi già dai 32 anni di età.
Le ricerche effettuate su questa popolazione hanno così portato alla scoperta che la causa di questa predisposizione risulta essere una mutazione del gene cosiddetto “Apoe”, un gene in grado di bloccare la malattia, ritardandone lo sviluppo di decenni. Tale gene agisce positivamente sul cervello, proteggendolo e impedendo alle placche amiloidi di depositarsi, contrastando così in generarsi ed il decorrere della malattia di Alzheimer. E’ quindi possibile, secondo i ricercatori, riuscire ad “imitare” le capacità di questo gene, magari amplificandone l’azione, così da ottenere un effetto ritardante ancora maggiore.
Nonostante la scoperta non abbia nulla a che vedere con una cura effettiva, possiamo comunque considerare questo studio come una piccola vittoria sul morbo di Alzheimer che, grazie ai costanti passi avanti della scienza, sembra fare sempre meno paura.

Festa nazionale dei nonni

Festa Nazionale dei nonni Domus Santa Rita

Il 2 Ottobre si è celebrata la Festa Nazionale dei nonni, che ci ha offerto uno spunto utile per riflettere su quanto sia fondamentale il ruolo che ancora oggi gli anziani ricoprono nella
nostra società.

Ad istituire la Festa Nazionale dei nonni è stata la legge 159 del 2005, allo scopo di ricordare l’importanza del ruolo svolto dai nonni nell’ambito familiare e sociale e, non a caso, la data scelta
corrisponde, secondo il calendario della chiesa cattolica, alla celebrazione degli Angeli Custodi.
Sono da considerare davvero degli Angeli, i nostri nonni, se pensiamo alla bellezza e alla qualità del tempo trascorso con loro.

Per ogni bambino è facile ricordare, anche da adulto, i
giorni passati in compagnia dei nonni, le storie raccontate, i giochi, tutti i momenti di questi indelebili rapporti fatti di purezza, di spontaneità e di un amore incondizionato.
La festa dei nonni non è una celebrazione soltanto italiana, ma anche gli USA hanno fissato una ricorrenza per festeggiare il ruolo insostituibile dei nonni, così come in Francia dove,
addirittura, le feste sono due: quella della nonna, a marzo, e quella del nonno ad ottobre.
Se vi state chiedendo in che modo trascorrere questo giorno o che cosa bisogna fare di preciso, per celebrare la Festa Nazionale dei nonni, la risposta è: trascorrete del tempo con i vostri
nonni!

Prendere un pensiero per l’occasione è di sicuro gradito, ma ciò che renderà davvero felici i vostri anziani è il tempo che passerete in loro compagnia.

Troppo spesso sottovalutiamo l’importanza di ciò che i nostri nonni hanno da dirci e finiamo con l’ignorare quelli che potrebbero essere preziosi insegnamenti di vita, soltanto perché siamo troppo indaffarati e presi da altre cose.
Almeno nel giorno a loro dedicato, cerchiamo di rendere i nonni il centro delle nostre attenzioni, porgiamo l’orecchio ai loro racconti e condividiamo con loro un giorno speciale: sembra un gesto di poco conto, eppure di certo vi lascerà nel cuore un ricordo prezioso, da custodire!

malato di alzheimer

Migliorare la qualità della vita di un malato di Alzheimer

La vita di un malato di Alzheimer è piena di difficoltà e di ostacoli, capaci di compromettere anche i più semplici gesti quotidiani e quindi la propria stessa
indipendenza.

La perdita della propria autonomia è certamente la conseguenza più grave di questo terribile morbo, che porta il malato all’incapacità, parziale o totale, di pendersi
cura di sé, della propria igiene e dei propri bisogni primari.

Questa condizione è particolarmente dura non soltanto per il malato, ma finisce col ripercuotersi anche sulla vita dei suoi
familiari.

Purtroppo, ad oggi non è chiaro quali siano le cause precise per cui il morbo di Alzheimer si manifesta, dunque non è ancora possibile giungere alla sintetizzazione di una
cura efficace, malgrado i progressi della ricerca scientifica.

Tutto quello che si può fare, quando si ha un caro affetto da Alzheimer, è cercare di rendere la loro vita più agevole e
serena possibile.
Ma come si fa a migliorare la qualità della vita di un malato di Alzheimer?
Alcune ricerche scientifiche hanno appurato che l’approccio più efficace per far si che il malato riesca a gestire individualmente alcune delle attività quotidiane di base è quello
orientato al compito: il paziente viene guidato da una persona competente all’apprendimento di una specifica abilità e portato a ripeterla più volte, fino all’acquisizione completa.
E’ fondamentale, in questo frangente, che l’assistente sia ben formato, che conosca le migliori strategie da attuare a seconda del grado di malattia del degente, e che instauri un
buon rapporto l’assistito, inserendosi nel suo ambiente e prendendo in considerazione tutti gli aspetti familiari e sociali che lo caratterizzano.
Per ulteriori consigli su come migliorare la qualità della vita del malato di Alzheimer, clicca qui.

comunicare con un malato di Alzheimer

Come comunicare con un malato di Alzheimer

Comunicare con un malato di Alzheimer non è facile, ma con l’aiuto di professionisti è possibile migliorare il contatto con il nostro caro!

Assistere un malato di Alzheimer è una responsabilità che implica non soltanto il prendersi cura dei bisogni primari del degente, ma anche imparare a farsi ascoltare e a comunicare.
Il dialogo con una persona affetta da Alzheimer è infatti non solo possibile, ma anche importante per affrontare con il giusto spirito la malattia.
Per “comunicare” non si intendono solo parole, ma anche l’espressione, la gestualità, il tono della voce… Anzi, con l’aggravarsi del morbo, la comunicazione non verbale diventa preponderante, quindi è necessario imparare ad esprimersi e a comprendere chi non è più in grado, con grande frustrazione, di usare il linguaggio verbale in modo corretto.
Esortando il malato a comunicare, contribuiremo a farlo sentire meno solo e lo porteremo a stimolare le sue capacità residue, così da mitigare gli effetti della malattia, rendendo migliore la qualità della vita.
Nei casi meno gravi, il degente ha lievi vuoti di memoria: fa fatica a ricordare nomi di persone vicine, impiega tempo per trovare le parole giuste per esprimersi, il suo discorso diventa a volte incoerente, frammentario, spesso smette di parlare senza aver terminato il concetto. In questi casi, cerchiamo innanzitutto di non interromperlo né di anticiparlo nel parlare, ma rispettiamo i suoi tempi; solo se presenta difficoltà notevoli, possiamo suggerirgli la parola giusta. Accettiamo i giri di parole, i salti da un argomento all’altro, magari cercando di reindirizzarlo senza farglielo notare troppo.
E’ utile fare spesso una lettura ad alta voce insieme al malato, per stimolare le capacità comunicative e, perché no, anche per concedersi un momento di discussione e condivisione.
Imparare ad ascoltare con rispetto non basta: affinché la persona affetta da Alzheimer si senta a proprio agio, bisogna semplificare il nostro linguaggio ed essere più diretti e precisi anziché utilizzare modi di dire, deduzioni, domande indirette ecc.
Esistono altri casi, poi, nei quali il malato presenta difficoltà più visibili: parla di meno ed è meno espressivo, i suoi discorsi si fanno vuoti e inconsistenti, e le parole utilizzate sono spesso ripetitive.
In questo frangente, per comunicare con un malato di Alzheimer è necessario essere il più comprensivi possibile ed essere pronti a ripetere più volte domande e affermazioni che il malato potrebbe non aver capito o dimenticato. Può capitare che la persona affetta da Alzheimer si innervosisca e alzi la voce; in questo caso è nostro dovere cercare di placarlo mantenendo un tono calmo e rassicurante.
Non correggetelo, se riuscite a capirlo: intervenite solo se il senso del suo discorso vi sfugge.
Nei casi più gravi, il malato parla solo se stimolato, spesso ripetendo le parole immediatamente ascoltate, non è più capace di leggere o di scrivere, raggiunge un’inespressività quasi totale e si esprime solo attraverso gestualità e suoni privi di senso compiuto. Molti temono che a questo punto la comunicazione sia irrimediabilmente compromessa, tuttavia il malato è ancora in grado di percepire i nostri sentimenti e il nostro atteggiamento non verbale, dunque non arrendiamoci!
Rispettiamo, come sempre, i suoi tempi e cerchiamo di coinvolgerlo spesso nelle nostre attività, mettendo in risalto i suoi successi; come prima, evitiamo di correggerlo, se il messaggio è complessivamente chiaro; infine, non manchiamo mai di rassicurarlo e cerchiamo di non assumere mai un atteggiamento irritato o spazientito. In questa fase è fondamentale la gestualità e l’espressività, per permettere al malato di comprendere con più chiarezza i nostri messaggi.
Insomma, comunicare con un malato di Alzheimer è cosa non facile e richiede molto tatto e pazienza, ma ciò che conta è non arrendersi all’incomunicabilità: nonostante le difficoltà, ci sono ancora tante cose che un malato di Alzheimer può donarci: un aneddoto familiare, una foto, un giornale… basta cominciare da qualcosa di semplice per vedere aprirsi un mondo che non verrà mai completamente cancellato dalla malattia, se noi vogliamo impedirlo.

Alzheimer

Casa di Cura Domus S. Rita Alzheimer

L’Alzheimer è una delle malattie più insidiose e preoccupanti della terza età.

Il nostro microbioma, ovvero l’insieme del patrimonio genetico e delle interazioni ambientali della totalità dei microrganismi presenti nel nostro corpo, influenza notevolmente la nostra salute e la maniera in cui invecchiamo.

E’ stato infatti osservato che il graduale declino della risposta immuno-umorale e cellulo-mediata, provocata dall’invecchiamento delle nostro difese immunitarie, contribuisce allo sviluppo di citochine pro infiammatorie.

Si tratta di fattori importanti di necrosi tumorale a (TFNa) con conseguente e rischioso sviluppo di un processo infiammatorio a livello cerebrale.

Oggi abbiamo delle novità in relazione al microbioma, in quanto sono stati rilevati dei batteri asintomatici in aree prima reputate sterili.

Tali batteri risultano “immuno-tollerati” e possono gradualmente proliferare anche altrove, in zone del corpo come, ad esempio, la bocca, suscitando una risposta infiammatoria cronica a livello cerebrale.

La supposizione che sia l’infiammazione cerebrale a scatenare la cascata di eventi neuro patologici tipici dei disturbi cognitivi non è nuova, ma si era già osservato e considerato che, in condizioni normali, la produzione di amiloide sarebbe una risposta di difesa contro l’infezione stessa.
Ecco perché i recenti studi epidemiologi, sperimentali, genetici ed ambientali mettono in relazione la flora batterica e la malattia di Alzheimer, aprendo nuove vie di ricerca per la prevenzione ed il trattamento dei disturbi cognitivi.
La Domus Santa Rita è adeguatamente attrezzata per ospitare anche anziani con morbo di Alzheimer: scopri i nostri servizi.