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DECLINO COGNITIVO SOGGETTIVO, INDICATORE PER DIAGNOSI PRECOCE ALZHEIMER

Un gruppo di ricerca guidato dal Centro Tedesco Malattie Neurodegenerative (DZNE) ha concluso che il declino cognitivo soggettivo può contribuire ad individuare il Morbo di Alzheimer in una fase precoce.

In un nuovo studio, pubblicato su Neurology (Perdersen, 2020), gli scienziati hanno riportato che gli individui che percepivano di avere problemi di memoria, ma le cui prestazioni mentali erano nella norma, mostravano tuttavia deficit cognitivi misurabili che erano collegati ad anomalie nel liquido spinale.

Questi risultati potrebbero essere utili per la diagnosi precoce e lo sviluppo di una terapia.

Una rete di università e ospedali universitari tedeschi è stata coinvolta nelle indagini, coordinate dal DZNE, che hanno esaminato un totale di 449 donne e uomini (età media circa 70 anni). Di questo gruppo, 240 individui sono stati inclusi tramite le cliniche di memoria degli ospedali universitari partecipanti.

Queste persone avevano consultato le cliniche per chiarimenti diagnostici su lamentele cognitive soggettive persistenti, di solito dopo l’invio di un medico. Tuttavia, nei test normali erano stati valutati come cognitivamente normali, determinando perciò che avevano SCD, declino cognitivo soggettivo.

I soggetti dello studio sono stati sottoposti a vari test delle loro capacità mentali. Oltre alle prestazioni della memoria, l’attenzione si concentrava anche sulla capacità di concentrazione in varie situazioni. Tra le altre cose, sono state testate anche le abilità linguistiche e la capacità di riconoscere e nominare correttamente gli oggetti.

Inoltre, è stato analizzato il fluido cerebrospinale di 180 soggetti dello studio, 104 dei quali con SCD. Questo liquido è presente nel cervello e nel midollo spinale.

È stato dimostrato che i soggetti con SCD presentavano in media lievi deficit cognitivi e che questi deficit erano associati ad alterazioni proteiche ​​riconducibili alla malattia di Alzheimer in fase iniziale.

Ovviamente questi risultati non possono essere generalizzati, perché molte persone anziane soffrono di disturbi temporanei della memoria soggettiva senza avere il morbo di Alzheimer.

I risultati attuali supportano il concetto che la SCD può contribuire, in parte, a rilevare la malattia di Alzheimer in una fase precoce.

chiedere aiuto ad una casa di cura

Chiedere aiuto ad una casa di cura è importante

Chiedere aiuto ad una casa di cura quando si hanno casi di Alzheimer in famiglia è veramente importante.

Il morbo di Alzheimer è una delle malattie più temute del nostro secolo, non soltanto per i drammatici effetti che produce sulla mente dell’individuo, ma anche per le ripercussioni che ha sulla famiglia del malato e su coloro che lo assistono.
L’assistenza, in questo frangente, diventa un compito difficile ed estremamente gravoso, dunque è importante fronteggiare la realtà delle cose e fare i conti con le proprie forze ed energie. Accettare di avere bisogno di aiuto e condividere il proprio peso è il primo passo per affrontare la situazione nel modo giusto: per un caregiver, infatti, non vi è soltanto un peso sociale ed economico ma anche e soprattutto emotivo.
Innanzitutto, si sperimenta un senso di perdita, legato all’inevitabile cambiamento dell’individuo affetto da Alzheimer, nel quale non si riconosce più l’amico, il compagno, il familiare di un tempo; tale sensazione può amplificarsi nel momento in cui il malato giunge a non riconoscere più le persone che lo circondano.
Tale condizione può portare ad un senso di rabbia ed angoscia, dettato dall’impotenza rispetto al decorso della malattia e agli effetti che questa produce sul malato, o anche ad un certo imbarazzo, soprattutto in pubblico.
Comune è anche il senso di colpa, dovuto all’incapacità di poter sostenere con costanza e con durevolezza il proprio caro: in questo caso, pensare di chiedere aiuto ad una struttura specializzata come la Casa di Cura non è sbagliato! Bisogna saper rispettare i propri limiti, accettare la necessità di rivolgersi a dei professionisti, ma soprattutto convincersi che rivolgersi ad una casa di cura non corrisponde ad un abbandono. Anche dopo la presa in carico, i familiari continuano ad essere parte integrante della vita dell’anziano, attraverso visite frequenti e la condivisione di eventi festivi importanti.
Chiedere aiuto ad una casa di cura non è una resa, ma una grande dimostrazione di coraggio ed amore!

morbo di Alzheimer

Morbo di Alzheimer, il ruolo della famiglia

Il morbo di Alzheimer è un serio problema che affligge la terza età. Ma la famiglia, con il supporto di una struttura adeguata, può fare tanto!

Una delle cose più difficili nella nostra vita e accettare di invecchiare. Quando arriva il momento in cui bisogna fare i conti con una mente non più scattante e con un fisico che non risponde più come vorremmo, si mette in discussione non soltanto la sfera personale ma anche quella relazionale e, in particolare, il rapporto con la propria famiglia. In questo frangente, i propri cari rappresentano un supporto fondamentale per l’anziano, che solo attraverso le attenzioni e la vicinanza dei familiari può ritrovare la serenità e lo stato d’animo giusto per vivere appieno anche questa età della vita.
Tuttavia, quando bisogna confrontarsi con l’insorgere di una malattia, le cose diventano più difficili, non soltanto per l’anziano, ma anche per chi si prende cura di lui. Nel caso di malattie neurodegenerative come il morbo di Alzheimer o la demenza senile, la riduzione delle abilità e dell’autonomia personale determina una trasformazione radicale delle condizioni di vita di tutta la famiglia, sia a livello pratico-comportamentale che affettivo-relazionale. E’ necessario prendersi cura costantemente del malato, ogni ambiente deve essere adattato al soggetto allo scopo di evitare aggravamento di disturbi comportamentali o incidenti, e in questo contesto è normale che gli equilibri familiari ne risentano.
Il disagio generato dalla necessità di prendersi cura del malato, la difficoltà di conciliare impegni lavorativi e relazionali, lo stress e la frustrazione legati all’incapacità di comprendere fino in fondo le necessità del proprio caro… tutti questi fattori innescano una serie di dinamiche psicologiche che rischiano di minare l’intero nucleo familiare.
Scegliere una casa di cura, a questo punto, non deve configurarsi come una scelta di abbandono, ma come una decisione dettata dall’amore per il proprio familiare malato. Di primo acchito, siamo portati a biasimare la scelta della casa di cura, soprattutto per l’allontanamento del malato dalla propria casa, ma con un ragionamento più razionale possiamo renderci conto di quanto la situazione possa migliorare, grazie all’aiuto di esperti del settore e di professionisti affidabili.
Domus Santa Rita dispone di una struttura ideale ad accogliere il tuo caro, dotata di tutto ciò di cui un anziano ha bisogno per sentirsi a proprio agio, e il personale è attento, cortese, disponibile all’ascolto: chi opera nella struttura Domus Santa Rita conosce l’importanza del calore umano e di quei piccoli gesti capaci di dare luce anche ai momenti più bui della nostra vita.

ricerca Alzheimer

Ricerca Alzheimer, scoperto gene che ne rallenta l’insorgere

Ricerca Alzheimer: è stato individuato un nuovo gene che sembra in grado di rallentare l’insorgere della malattia.
La scoperta è stata annunciata da un gruppo di ricercatori appartenenti alla Australian National University, gli ideatori della scoperta che potrebbe spalancare la strada alla sintetizzazione di nuovi farmaci in grado di ritardare la malattia di Alzheimer fino a diciassette anni.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Molecular Psychiatry, è basato su dati raccolti nel corso di ricerche su una popolazione colombiana: tale popolazione, infatti, è notoriamente portatrice di mutazioni genetiche collegate ad un maggior rischio di sviluppare il morbo di Alzheimer: per citare un esempio, solo nella città di Yaramul è possibile contare circa 5000 persone ad alto rischio di insorgenza Alzheimer, e si prevede che addirittura la metà riceverà una diagnosi già all’età di 45 anni. Se questi dati possono apparire scioccanti, basti pensare che alcuni hanno sviluppato i sintomi già dai 32 anni di età.
Le ricerche effettuate su questa popolazione hanno così portato alla scoperta che la causa di questa predisposizione risulta essere una mutazione del gene cosiddetto “Apoe”, un gene in grado di bloccare la malattia, ritardandone lo sviluppo di decenni. Tale gene agisce positivamente sul cervello, proteggendolo e impedendo alle placche amiloidi di depositarsi, contrastando così in generarsi ed il decorrere della malattia di Alzheimer. E’ quindi possibile, secondo i ricercatori, riuscire ad “imitare” le capacità di questo gene, magari amplificandone l’azione, così da ottenere un effetto ritardante ancora maggiore.
Nonostante la scoperta non abbia nulla a che vedere con una cura effettiva, possiamo comunque considerare questo studio come una piccola vittoria sul morbo di Alzheimer che, grazie ai costanti passi avanti della scienza, sembra fare sempre meno paura.